domenica 3 maggio 2009

La vittimizzazione secondaria: alcune forme di maltrattamento istituzionale nei confronti delle famiglie maltrattanti


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"è pur vero che ormai assistiamo anche al fenomeno opposto, di operatori che esagerano in prudenza, mettendo in atto misure di protezione sproporzionate al danno effettivo patito dai minori, compromettendo il progetto di presa in carico, che dovrebbe mirare a ripristinare ogni qual volta sia possibile una relazione sufficientemente buona tra il bambino e i suoi genitori. Si veda questa situazione.
Un servizio di tutela, con operatori seri, attivi e formati, viene a conoscenza da una scuola elementare che un alunno di otto anni, figlio di genitori separati, ha scritto in un tema che il nonno materno, con il quale vive, assieme alla madre e al fratellino, lo picchia. L’insegnante asserisce che il piccolo le sembra spaventato. Gli operatori si spaventano a loro volta, e senza molto riflettere decidono di sentire il padre, che vive a qualche kilometro di distanza e che a sua volta si impensierisce, cosicché il servizio, travolto, decide di ricorrere ad un allontanamente d’urgenza, ai sensi dell’articolo 403 del codice civile, recandosi con i carabinieri a casa del bambino per portarlo in comunità. Ma la madre, esterrefatta, resiste, e chiama il suo avvocato, che si precipita sul posto e contesta a carabinieri e operatori la legittimità del provvedimento. Di fronte ai bambini agitati e spaventati da tutto il trambusto, gli operatori cedono. Il mattino dopo interpellano il giudice che sconfessa il loro operato, rispondendo alla segnalazione con un semplice mandato di indagine. Per risalire la china in cui sono caduti e recuperare la fiducia della madre (e del bambino), gli operatori hanno dovuto sudare sette camicie!

Un’altra fase del processo d’intervento in cui talvolta assistiamo ad un eccesso di prudenza è la regolamentazione delle visite in comunità. Sappiamo che nei casi di abuso sessuale non è sempre sufficiente che i contatti, poniamo, tra una bambina e il padre sospetto abusante, o anche tra lei e la madre scarsamente protettiva, siano sorvegliati da un educatore, perché la forza della relazione di potere dell’abusante sulla vittima è tale da confonderla, soggiogarla, paralizzarla e magari indurla ad una ritrattazione (Malacrea, Lorenzini, 2002). Ma è indebito estendere questa medesima prudenza a casi del tutto diversi, come il seguente.
Arturo ha tre anni quando sua madre se ne va con un altro uomo, lasciandolo al marito, alcolista e violento. Questi, incapace di occuparsi da solo del bambino, lo affida a sua madre e a sua sorella. Arturo cresce molto legato al padre, che idealizza: quando la nonna muore e la zia ha un bambino dal compagno, scappa di casa per ricercare il suo papà, che è ospite di un fratello paziente psichiatrico: è la zia a segnalare la situazione al Tribunale per i minorenni, che decreta il collocamento del ragazzino, ormai dodicenne, in comunità. Il servizio sociale affidatario decide di interrompere per un mese le visite dei genitori e della zia, e poi di regolamentarle al ritmo di una ogni quindici giorni per ciascuno. A me sembra che per un ragazzo abbandonato, alla disperata ricerca di qualcuno che lo voglia stabilmente con sé, sarebbe di gran lunga preferibile fissare contatti ravvicinati (diciamo, a giorni alterni) per verificare, noi e soprattutto lui, se qualcuno, e in tal caso chi, desideri stargli vicino e accetti la fatica di un cammino per riprenderselo.".....

di Stefano Cirillo
http://www.scuolamaraselvini.it/web/index.php?option=com_content&task=view&id=66&Itemid=110

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