giovedì 9 aprile 2009

ASSISTENTI SOCIALI: IL MANGANELLO DI UNO SQUADRISMO AMMINISTRATIVO CHE HA COME BERSAGLIO LA FAMIGLIA




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Le inchieste che vedono al centro i minori si svolgono con un meccanismo tanto implacabile quanto ripetitivo.

La maestra o la vicina di casa o un parente che ha conti da regolare, come nei casi di divorzio, avvisa l'assistente sociale del territorio. Quest'ultima arriva, parla col bambino o coi "denuncianti", non è tenuta a interpellare né i genitori né altre persone, e stila una relazione che finisce sul tavolo del Tribunale dei Minori. Basta parlare di "problemi", "incapacità genitoriale", o "sospetti abusi" ed ecco che il Tribunale dei Minori autorizza subito il sequestro dei bambini dalle famiglie d'origine.

A questo punto è fatta. Alcuni pseudo - esperti, magari neppure laureati in psicologia, certificano, su indizi psicologici, che "potrebbero esserci problemi da verificare".

Così i bambini restano per mesi sottratti alle famiglie d'origine senza che i genitori possano avvicinarli, né spedire loro lettere o giocattoli, neppure sotto il controllo di questa sorta di carcerieri dei loro figli.

Perché tanto rigore che non viene applicato neppure ai condannati per le stragi di mafia, nelle carceri speciali?

La risposta ipocrita arriva fulminea: "I genitori potrebbero turbare i bambini con le loro lacrime e la loro presenza, spingendoli magari a ritrattare le accuse".

Quali accuse per quali reati? Ma è ovvio. Quelle raccolte dagli stessi assistenti sociali in lunghi mesi, prolungabili per anni, in cui i bambini sono deportati, strappati dalle loro case, affetti, animali e giochi e in cui nuovi adulti prendono il posto principe come figure di riferimento. Ecco che queste pseudo - inchieste, che si reggono sempre su dichiarazioni incrociate e non su prove documentali, vanno avanti all'infinito. Più i genitori protestano e più vengono puniti con l'allontanamento. Padri e madri non hanno diritti da far valere: né il contraddittorio sulle accuse, se ci sono, né quello sulle prove, ammesso che ne esistano. Né tantomeno sulle perizie psicologiche che riflettono puntualmente, e sono lucrosamente retribuite coi bilanci delle Ausl, le convinzioni - e solo quelle ­delle assistenti sociali che hanno attivato il meccanismo e che, quasi sempre, torchiano e manipolano i bambini perché dicano ciò che vogliono sentirsi dire.

Di più. Per i genitori scatta automaticamente la presunzione di colpevolezza: ma in uno stato di diritto in regime di democrazia, sono gli accusatori che devono provare le loro accuse, o i cittadini che devono dimostrare la propria innocenza?

C'è di peggio. Le assistenti sociali e le psicologhe ASL, che fanno scattare la trappola non potranno mai essere punite per induzione alla calunnia, circonvenzione, maltrattamenti o quant'altro, non avendo alcun obbligo di video -fonoregistrare gli incontri con i minori, tenere una cartella clinica o anche un semplice brogliaccio di note, per cui il loro operato sfugge a un qualsiasi controllo. Quanto alla preparazione delle assistenti sociali neanche a parlarne: una farsa se non fosse una tragedia. Neodiplomate di vent'anni, gente entrata con qualsiasi espediente nei rami della burocrazia comunale che viene messa a svolgere il compito di assistente sociale, spesso, con una decisione di tipo politico. Sarebbero questi gli esperti di infanzia e di famiglie voluti per erogare fondi pubblici, affitti e sussidi vari.
Una vergogna nazionale. Nascosta e sottile, obliqua. Che si nasconde dietro ai casi di cronaca, alle vittime vere, per chiedere sempre maggiori fondi e poteri. Da gestire senza i controlli dei cittadini, con bilanci mai trasparenti.
Il caso che qui presentiamo è la prova provata di quest'intreccio di interessi inconfessabili. Dietro ai veri casi di abusi, scoperti in minima parte da servizi sociali, ci sono migliaia di denunce che servono a far mucchio per dimostrare un problema, altrimenti, molto minore. Per forza che poi le prove non arrivano.

Le assistenti sociali sono troppo impegnate a costruire teoremi colpevolisti e a cercare la materia prima per alimentare la macchina dell'assistenza, sottraendo i bimbi alle famiglie.

Dietro il caso della Bassa modenese non ci sono solo bambini violentati dai servizi sociali che avrebbero dovuto proteggerli, ma anche intere famiglie, insegnanti e parroci torturati da sospetti. Ci sono psicologhe col titolo di studio fasullo, assistenti sociali e magistrati che vanno a trovare gli abusologi di professione a 500 km di distanza e ad assumerli come consulenti.

E poi anche poliziotti, sempre e solo quelli, che si prestano a costruire prove senza riuscirci, con un Pubblico Ministero dalla carriera contrastata e che, pur di evitare un tonfo professionale, non esita a sottoscrivere qualsiasi carta. Evitando persino di concedere una perizia ginecologica richiesta dagli zii e dai genitori e accettando con urla e minacce i risultati opposti. Anche se provengono da fior di specialisti, con luminosa carriera professionale, che vengono chiamati da altri colleghi con la toga.

L'inchiesta della Bassa è uno scandalo. Per come è nata ed è stata condotta. È tutto lì, documentato in diciottomila pagine d'inchiesta in tre anni. E in mille pagine di sentenza. Tutte parole che girano a vuoto per giustificare le condanne. Che vergogna!





CACCIA ALLE STREGHE IN PIENO XX° SECOLO



Ciò che si è verificato nella Bassa modenese è una storia brutta che neppure in tempo di guerra, per le persone, le modalità e gli affetti colpiti, è possibile immaginare. L'incontro di alcune leggi con una data devianza e cattivi funzionari, lascia, però, spazio al ripetersi di altri drammi umani e famigliari.

Abbiamo assistito ad una vera e propria caccia alle streghe in pieno 20° secolo. Con tanto di untori, inquisitori e bambini strappati alle famiglie che ha colpito e distrutto immigrati del sud e genitori della zona, parroci, padri, madri, insegnanti e tante famiglie per bene. Una guerra santa ispirata, almeno in apparenza, dalla più nobile delle intenzioni: proteggere i bambini e salvarli dal demonio, dagli abusi, dai riti satanici.

Una missione tanto nobile da travolgere anche la verità.

L'isteria ha contagiato tutti quelli che contano: assistenti sociali, psicologhe, ASL, certi poliziotti, sindaci di Comuni, pubblici ministeri, giudici ordinari e speciali.

Non la gente.

Decine di bambini “rapiti” a scuola, o in piena notte dalle assistenti sociali e dai poliziotti, persone innocenti incarcerate, famiglie ridotte sul lastrico, galantuomini messi alla gogna con l'accusa dei più turpi reati. Una madre morta suicida, un fotografo e un parroco di crepacuore.

Questa testimonianza parlerà principalmente di un’altra vittima ancora, un’altra madre. È insegnante e ha potuto rifugiarsi all’estero in una comunità religiosa per partorire il bimbo che recava in grembo. Una scelta obbligata per impedire che i nuovi inquisitori – assistenti sociali le portassero via il neonato. E' stata costretta a lasciare l'amato marito da solo, dopo che da quindici mesi li avevano privati degli altri quattro figli con l'accusa di "non essersi accorti", che i loro bambini, dai quattro ai dieci anni, andavano di notte per cimiteri ad assistere a riti satanici e a farsi abusare.

La "caccia alle streghe" si è scatenata con deprecabili metodi d'altri tempi e si è incrementata con tanta feroce ottusità da sembrare interessata.

Le bambine e i ragazzi venivano improvvisamente sottratti alle famiglie, spesso, sulla base del "teorema" di una psicologa della ASL, della quale, ancor oggi, non si conosce nulla.

Quando lei "intuiva" che un minore era stato abusato, ne determinava l'allontanamento dalla famiglia senza alcuna spiegazione ai malcapitati genitori.

Spediva la relazione - denuncia al Pubblico Ministero e al Tribunale dei Minori. Di qui scattava l’apertura di un procedimento penale ad opera del PM e contestualmente un provvedimento ‘’provvisorio e urgente’’ di allontanamento dei minori da parte del Tribunale.

Il bambino non riferiva alcun abuso che giustificasse la macchinazione? "Era naturale – rispondeva con relazioni fotocopiate la psicologa - doveva prima sentirsi protetto e al sicuro". Generalmente dopo 5 - 6 mesi (ma alla bisogna anche prima) di isolamento dalla famiglia e di costanti plurimi colloqui ­interrogatori settimanali della psicologa.

E' difficile che un bambino dopo quel periodo di allontanamento dalla famiglia e dagli abusanti non si senta protetto a sufficienza per non raccontare delle violenze subite. E' altrettanto difficile ipotizzare che un bambino, in quel lasso di tempo e in quelle condizioni, non dica all'adulto ciò che questi intende sentirsi dire.

Esiste il problema dell'abuso e del falso abuso alla soluzione dei quali gli operatori sociali e i tribunali dovrebbero dare un contributo di trasparenza e di maturità evitando, innanzitutto, di addentrarsi in strade senza ritorno.

Smembrare una famiglia sulla base di un'intuizione, o della dichiarazione di una bimba di otto anni, diventa errore imperdonabile che porta danni e pregiudizio alla carriera se non è provato dai fatti. Di qui l'avvitamento a imbuto degli operatori che non si fermeranno più nemmeno di fronte alla scoperta della verità, quando dà torto ai loro teoremi precostituiti...
Continua...

http://www.falsiabusi.it/Modena/cortelloni.htm

mercoledì 8 aprile 2009

Rapimenti di Stato


...Esiste in Italia una certa percentuale di famiglie che entrano nel perverso gioco dell'assistenza sociale, quasi sempre per colpa loro: ignoranza, liti tra coniugi, alcolismo,addirittura tossicodipendenza. Ma certo è che non troveranno l'aiuto di cui avevano necessità; se poi va proprio male arrivano i provvedimenti giudiziari.

C'è un comune denominatore tra le famiglie che subiscono lo smembramento forzoso: la povertà. Non può capitare al professionista anche se pederasta o cocainomane, non può capitare al boss mafioso che può mantenere la famiglia nel lusso.
In applicazione della morale corrente, ancora una volta il denaro offre vie d'uscita che eludono ogni regola legislativa. Rimangono esposti gli emarginati, per i quali la capacità di essere genitori, fatta oggetto di disquisizioni pseudo-psicologiche, diventa potenzialmente revocabile.

Ma può lo Stato violare, infrangere così pesantemente il rapporto genitore-figli?

Non ci sono forse magistrati, educatori, psichiatri, il cui figlio ha imboccato la via della droga, oppure si è suicidato, oppure ancora ha sviluppato malattie mentali a seguito di gravi tensioni psicologiche?
La capacità di essere genitori non si misura dal reddito del nucleo famigliare, né dal livello culturale; è semmai molto più plausibile metterla in relazione alla visione delle cose, alla «morale» del genitore, alle sue convinzioni profonde. Sarebbe comunque giustotogliere i figli a chi non la pensa in un certo modo?

La sottrazione legale dei figli alle famiglie, oltre ad essere un fenomeno gravissimo di per sé, è emblematico delle tragiche implicazioni e ricadute che una mentalità purtroppo largamente diffusa ha sul sociale. Non c'è alcun dubbio che la gran maggioranza di chi esercita il proprio potere (assistenti sociali, psicologi, giudici) aderisce ad una logica secondo cui non esiste differenza tra l'amore di una madre o di un padre e quello che un qualunque adulto estraneo può offrire (3).

Purtroppo queste malsane convinzioni hanno estese e profonde radici nella società
contemporanea, e si riconnettono ad altri miti fasulli che, nel loro insieme, tentano di verniciare di una patina di pietistico solidarismo provvedimenti che sono invece in realtà carichi di violenza e destinati a colpire l'istituto familiare.

Va aggiunta la considerazione che i giudici minorili, nel prendere simili decisioni, si basano sulle perizie degli esperti (assistenti sociali, psicologi, psichiatri): quindi chi in effetti giudica non va mai presso le famiglie a constatare di persona la situazione - per mancanza di tempo, per pigrizia, per distacco, o forse per non essere coinvolto nella enorme responsabilità della valutazione diretta dei problemi.

Le deliberazioni vengono di solito pronunciate da quattro magistrati in camera di consiglio sulla scorta di relazioni e verbali stilati da altri.
Quindi non v'è mai un giudice che debba farsi carico in prima persona di decisioni di tanta portata.

È poi necessario ricordare che psicologia e psichiatria sono ancora ben lontane da un
rigoroso livello di scientificità, così che i larghi margini di opinabilità e di arbitrarietà ancora insiti in entrambe queste discipline, gravano quasi sempre le perizie di numerosi e rilevanti «vizi ideologici»
(4).

Il più evidente tra questi è una valutazione del danno probabile sul minore (quello indotto dalle carenze dei genitori) non rapportato al danno certo indotto dal distacco forzoso dalla
famiglia. Altro vizio ideologico è l'assunzione assiomatica che una vita più agiata, più igenica, più ordinata... debba automaticamente tradursi in un maggior equilibrio mentale,prescindendo del tutto dalle componenti affettive connesse ad un legame naturale.

Il caso di Luigi Chiatti (il «mostro di Foligno») sembra contraddire proprio questo assunto.
Il giovane, omosessuale, pedofilo e omicida, è uno dei tanti figli adottivi con enormi problemi psicologici. La famiglia che lo ha cresciuto, tranquilla e assolutamente normale nonostante le accuse di parte civile durante il processo, ha saputo portare il figliastro ad un diploma, lo ha reso autonomo e professionalmente affidabile, ma non ha saputo colmare quel vuoto dell'anima che un passato di abbandono gli aveva lasciato dentro.
Quanti genitori adottivi ci riescono?

Per un bambino o ragazzo abbandonato la ferita spirituale non si rimargina mai
completamente. Rimarrà sempre l'interrogativo: perché sono stato abbandonato? C'è chi
vuole assolvere a tutti i costi i propri genitori naturali, chi si vergogna delle sue origini, chi ancora crea con la propria supposta inferiorità o con comportamenti anormali una giustificazione all'amore non ricevuto.

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«Ridatemi mia figlia, non vuole stare in quel centro»


La signora Giovanna lotta per riavere la sua “piccola”: «Ha minacciato il suicidio e scappa per tornare da me»

MILANO 11/12/2008 - «La vogliono tenere per forza là dentro». Non si dà pace la signora Giovanna, che da più di un anno lotta per riavere a casa la sua Giulia, la figlia 17enne che il Tribunale dei Minori le ha portato via «per un ceffone». «È una vergogna - continua mamma Giovanna ­mia figlia vuole tornare a casa dalla sua fami­glia, non ci vuole stare in comunità, scappa in continuazione». Ma giudici e assistenti socia­li non vogliono sentir ragioni. E Giulia, alme­no ufficialmente, è costretta a vivere nella comunità. Nonostante le continue e frequenti fughe. Nonostante abbia minacciato più volte il suicidio. Nonostante abbia implorato gli educatori, le insegnanti e i poliziotti di la­sciarla tornare a casa.

«Un mese fa è tornata qui da me e mi ha pregato di tenerla a casa, di non riportarla più nel centro - racconta la signora Giovanna - io ho chiamato la Polizia e ho spiegato la situazione. Poi Giulia ha mo­strato i segni sulle braccia, ha raccontato che si era fatta quei tagli con lo specchietto mentre era in comunità e ha detto che l’avrebbe rifatto se l’avessero riportata là. I poliziotti allora me l’hanno lasciata ma una soluzione definitiva non è ancora stata trovata». Da quel giorno infatti Giulia non è più tornata nella comunità ma «nessuno si è più interessato a noi» conti­nua Giovanna.

E Giulia, nel frattempo, ha smesso pure di frequentare la scuola, »perché nessuno accetta la sua iscrizione - spiega la madre - perché ufficialmente dovrebbe essere nella comunità. Ma io non voglio che perda anche l’anno scolastico perché giudici e assi­stenti sociali non si ricordano di noi». [CONTINUA...]

Scritto da: Arianna Giunti - arianna.giunti@cronacaqui.it
http://www.cronacaqui.it/news-ridatemi-mia-figlia-non-vuole-stare-in-quel-centro_16346.html

Strappati ai genitori dal tribunale


Disperato appello dalla comunità: «Qualcuno ci aiuti»

MILANO 31/05/2008 - Tre anni lontani da mamma e papà. Tre anni lontani dalla cameretta con i peluche, dai giocattoli e dai compagni di scuola. Tre anni passati a sperare, notte dopo notte e ora dopo ora, in una buona notizia. E’ la storia di Vanessa, Mirko e Sharon, tre fratellini di 17, 11 e 6 anni. Dal 2005 vivono in una comunità per minori, lontani dalla famiglia. Sharon, la più piccola, è stata portata via da casa quando aveva appena tre anni. Può abbracciare la mamma e il papà solo una volta ogni due settimane. Non più a lungo di un’ora. E sempre sotto gli occhi, vigili, degli assistenti sociali. Un’infanzia rubata. E che ora i tre fratellini stanno reclamando: «Vogliamo tornare a casa. Perché è come se ci avessero strappato il cuore».

«ERAVAMO FELICI»
E’ il papà, Pietro Guccio, 51 anni, a raccontare la triste vicenda. Accanto a lui c’è Tina, 43 anni, madre dei tre bambini e sua moglie da vent’anni. «Eravamo una famiglia felice - spiega il padre - certo non perfetta, ma felice». E non si fa fatica a crederci, guardando quella casa luminosa e pulita, i giocattoli dei bambini, le loro camerette ordinate e le fotografie che li ritraggono sorridenti. Non ci hanno creduto, però, gli assistenti sociali. Che un giorno di marzo hanno segnalato al Tribunale dei Minori di Milano che i fratellini Guccio vivevano in «una situazione di terrore, vittime di un padre padrone ».

E’ stato un colloquio con un assistente sociale a dare inizio all’ingranaggio crudele, che poi non si è più fermato. Tina, che aveva attraversato una brutta depressione post partum e che da poco aveva perso il lavoro, si era rivolta a un consultorio. Si era sfogata con uno degli assistenti sociale lamentandosi per una «situazione pesante in famiglia».

Il primo figlio di Pietro, infatti, nato da un precedente matrimonio, aveva avuto problemi con la giustizia e il marito era spesso nervoso, aveva avuto scatti di rabbia. Nel frattempo, le maestre di Vanessa e Mirko avevano notato che i due bambini a scuola erano svogliati, trascurati.

Al bimbo era stata persino assegnata un’insegnante di sostegno, nonostante i suoi voti scolastici fossero più che buoni. Anche gli insegnanti hanno segnalato a l consultorio «un crescente disagio da parte dei bambini». Sono scattate le indagini, e il pubblico ministero ha aperto un procedimento civile a tutela dei minori.

«IL GIORNO MALEDETTO»
«Il giorno maledetto», come lo chiama Pietro, è arrivato l’11 maggio del 2005. Era il compleanno di Tina, e non ci poteva essere sorpresa peggiore. La famiglia al completo è stata invitata alla vicina caserma dei carabinieri, con una scusa. Lì, ad aspettarli, c’erano gli assistenti sociali del Comune.

Hanno caricato i tre bambini in auto e li hanno portati in una comunità a Sesto San Giovanni. Marito e moglie non credevano ai loro occhi. Pietro è un uomo alto e robusto ma stava per crollare. L’ha sorretto un maresciallo dei carabinieri. «E’ come se mi avessero strappato l’a n ima, mi è mancata la forza», racconta oggi.

IL CALVARIO
Da allora è iniziato il calvario. I coniugi Guccio possono vedere i loro bambini solo una volta ogni due settimane e solo per un’ora. Adesso i fratellini vivono in una comunità in provincia di Vercelli, e non vedono la loro casa da tre anni. Il giudice ha rigettato entrambi i ricorsi fatti dal legale dei coniugi Guccio, Lorenzo Macchi. «Non ci sono episodi concreti di violenza alla base dell’allontanamento . spiega l’avvocato - i genitori non hanno precedenti penali, conducono una vita dignitosa. Eppure...». Eppure dal 2005 i tre fratellini vivono, di fatto, come tre orfani. Strappati da una vita normale e lontani da due genitori che giurano di amarli.

[CONTINUA...] Scritto da: Arianna Giunti - arianna.giunti@cronacaqui.it
http://www.cronacaqui.it/news-strappati-ai-genitori-dal-tribunale---tre-bimbi-rivogliono-mamma-e-papa-----_7512.html

«Ci mancate tanto: non ce la facciamo più a restare qui»

I tre ragazzini scrivono quasi ogni giorno

alla mamma e al papà: «Riportateci a casa»

MILANO 31/05/2008 - «Cari genitori. Sono Mirko, vi voglio tanto bene. Mi mancate troppo, io qui non ce la faccio più. Anche Sharon e Vanessa stanno male. Spero che il giudice dica che possiamo tornare a casa presto ». Un foglio a quadretti mezzo stropicciato, infilato di nascosto nella giacca del papà, durante la consueta ora di visita, senza farsi vedere dagli assistenti sociali.

Una lettera scritta a mano, di fretta, con un pennarello blu. E’ così che i tre fratellini Guccio, Vanessa, Mirko e la piccola Sharon, comunicano il loro dolore ai genitori, ai quali sono stati strappati tre anni fa. I bambini vorrebbero tornare a casa, a Milano, da mamma e papà. Ma dal maggio del 2005 vivono nelle comunità per minorenni disagiati.

«Noi una famiglia che ci ama ce l’abbiamo - scrive Vanessa - perché dobbiamo vivere con i figli dei detenuti, dei tossicodipendenti o di chi i genitori proprio non ce li ha?». «Cari mamma e papà - scrive ancora la figlia più grande - non ce la faccio più a restare qui. Non riesco a trovare un modo per chiamarvi perché qui ci sono le telecamere dappertutto e gli assistenti sociali non vogliono che vi chiami. sono riuscita a trovare di nascosto delle buste con 2 o 3 francobolli. Spero di riuscire a trovare il modo per spedirvi una lettera».

E poi la speranza riposta nella decisione del giudice: «Dicono tutti che bisogna aspettare il decreto del giudice, ma qui il tempo passa e la bella notizia non arriva mai. Intanto il tempo sta passando, e la piccola Sharon sta crescendo senza di voi». Dalla ricorso redatto dal legale della famiglia Guccio, si legge inoltre che ai bambini viene vietato di telefonare al padre e alla madre «perché altrimenti scoppiano a piangere dall’emozione». Secondo la famiglia, inoltre, ai bambini è stato impedito di vedere il nonno materno gravemente ammalato, che è morto senza poter dire loro addio.

http://www.cronacaqui.it/news-ci-mancate-tanto-non-ce---la-facciamo-piu-a-restare-qui_7515.html

Strappata alla famiglia a 15 anni: «La mia vita d'inferno in comunità»


Vanessa Guccio, allontanata dai genitori su provvedimento del Tribunale dei Minori, è tornata a casa dopo tre anni




MILANO 11/12/2008 -
Per tre interminabili anni la giustizia è stata sorda alle sue preghiere e cieca alle sue lacrime. Per tre interminabili anni l’hanno costretta a vivere lontana dalla sua casa, dall’amore dei suoi genitori e dall’affetto degli amici. Quei tre interminabili anni sono finiti ieri.
Oggi Vanessa Guccio, strappata alla sua famiglia all’età di 15 anni, su provvedimento del Tribunale dei Minori che ha deciso di trasferire lei e i suoi due fratelli in una comunità protetta, è diventata maggiorenne. Per lo Stato adesso è una donna. Una giovane donna che ha deciso di parlare, e denunciare, proprio nel giorno in cui la legge italiana le consente di tornare nel posto da cui non sarebbe mai voluta partire: la sua casa.

«IL MIO CALVARIO»«Il mio calvario è iniziato l’11 maggio del 2005, che neanche a farlo apposta era il compleanno della mia mamma - racconta Vanessa seduta davanti a una tazza di caffè, nel soggiorno di casa - quel giorno i carabinieri ci hanno convocati alla stazione di Musocco e una volta arrivati lì abbiamo trovato gli assistenti sociali».
Di quel drammatico giorno Vanessa ha rimosso quasi tutto: «Mi ricordo solo che ci hanno fatti salire in macchina, poi più nulla». Da allora è iniziato il calvario. Lei, i suoi due fratelli Mirko e Sharon (che allora avevano 8 e 3 anni) e la madre Tina, sono stati portati alla comunità di Sesto San Giovanni. Lì hanno passato due mesi per poi essere trasferiti in un altro centro, a Caresano, in provincia di Vercelli. Nel frattempo la madre era tornata a casa e da allora i genitori, per vederli, avevano a disposizione sono un’ora al mese.

«E’ stato un periodo d’inferno - racconta Vanessa - ero sottoposta a continui ricatti, punizioni, mi impedivano di avere contatti con la mia famiglia sequestrandomi il cellulare». «Quando mio nonno è venuto a mancare, poi, - ricorda - gli educatori mi hanno persino proibito di dirgli addio in punto di morte, negandomi il permesso». Poi, lo spettro di presunti abusi sessuali. Uno degli educatori, infatti, quando lei aveva appena 15 anni, le avrebbe messo le mai addosso palpeggiandola.

«VOGLIO I MIEI FRATELLI» Ma ora che lei, finalmente, è riuscita a tornare a casa, il suo desiderio più grande è di riavere con sé i suoi fratellini, tuttora in comunità, e che rischiano di finire affidati ad altre famiglie. «Stanno soffrendo moltissimo - dice - non ce la fanno più. Scrivono di continuo a mamma e papà, ma se gli educatori trovano le loro lettere gliele sequestrano».
L’avvocato di famiglia, Claudio Defilippi, che ha portato il caso dei Guccio davanti alla Corte di Strasburgo, promette battaglia: «Con questo allontanamento sono stati violati i diritti dell’uomo - dice - abbiamo tutti i margini per chiedere i danni al ministero della Giustizia». [CONTINUA...]

Scritto da: Arianna Giunti - arianna.giunti@cronacaqui.it
http://www.cronacaqui.it/news-strappata-alla-famiglia-a-15-anni-la-mia-vita-dinferno-in-comunita_16308.html